Dietro ogni problema c'è un'opportunità

Pubblicato mercoledì 4 marzo 2020 da Giorgio

Alcuni spunti di riflessione che il Coronavirus ci lascia.

Selezione del Personale - Parma
Dietro ogni problema c'è un'opportunità
Dietro ogni problema c'è un'opportunità
Nelle ultime settimane anche l’Italia - soprattutto le regioni del nord - ha dovuto affrontare l’epidemia del coronavirus e milioni di persone stanno vivendo attimi di ansia e paura per sé stessi e per i propri cari. Tanti sono i contagiati. Si tratta di un’emergenza di indiscutibile gravità che stiamo cercando di arginare con misure preventive di contenimento ed isolamento. Per fare ciò, alcuni paesi sono stati messi in isolamento, scuole, uffici, aziende sono state chiuse nelle regioni più a rischio e lavoratori e studenti sono stati costretti o invitati a lavorare o frequentare i corsi da casa.
 
Nonostante la criticità della situazione sia innegabile, è importante non generare il caos. 
Viene spontaneo un appello alla responsabilità individuale di tutti noi nel dispensare e ricercare le corrette informazioni, assicurandoci di verificare fonti e contenuti e di interpretarli in modo corretto sulla base dei dati ufficiali e delle considerazioni degli esperti.
 
Nessun altro commento se non un ringraziamento a tutti coloro che stanno lavorando in prima linea, soprattutto al personale medico che sta dimostrando al mondo l’importanza del nostro sistema sanitario nazionale, tanto denigrato dall’opinione pubblica. Chiunque sospetti di essere malato, infatti, può richiedere gratuitamente assistenza sanitaria. In altri paesi al mondo, anche tra i più evoluti, si stanno chiedendo chi pagherà le spese mediche. Dovremmo riflettere sul significato di questo servizio che riteniamo scontato e cominciare ad apprezzare questo modello.
 


Non essendo medici o scienziati non ci soffermeremo troppo sulla semeiotica dell’epidemia. 
Vorremmo invece soffermarci su una frase che in questi casi risulta come vera e salvifica: proviamo a cogliere delle opportunità nei problemi. 
Mai come oggi abbiamo di fronte alcune opportunità da apprezzare e la possibilità di cogliere insegnamenti che ci saranno utili per le sfide per il futuro.
Vorremmo tentare una riflessione nell’ambito delle risorse umane e del lavoro concentrandoci su una delle tante soluzioni adottate per limitare le conseguenze economiche del virus: lo smart working.
 
Smart working viene tradotto come “lavoro agile” e consiste nel poter lavorare da casa. Nel resto d’Europa è una pratica consolidata ma in Italia, anche se ne sentiamo parlare ormai da anni, solo meno del 5% dei lavoratori può affermare di poter lavorare davvero da casa.
Questa nuova emergenza sanitaria ha portato il tema in prima pagina e ha legittimato e instaurato uno smart working de facto che sta salvando numerose imprese del Settentrione


Sulla carta, lo smart working sembra la soluzione ideale per numerosi lavoratori: si risparmia tempo e denaro, dicendo addio alla vita da pendolare; si riesce ad incastrare con maggiore flessibilità gli impegni della vita professionale e familiare; dalle stime europee si rileva un aumento della produttività in quanto lavoratori più soddisfatti e sereni lavorano più efficacemente; ha benefici anche per l’ambiente, riducendo le emissioni di CO2 dei mezzi di trasporto.
 
Non dobbiamo dimenticare, però, che si tratta sempre di una rivoluzione che implica un cambiamento profondo che non tutti sono ancora disposti o pronti ad attuare.
 
Prima di tutto, quella del lavoro agile è una rivoluzione culturale che cambia i nostri parametri in termine di tempo, spazio e orari convenzionali. 
 
Questa rivoluzione è figlia di un’altra importante rivoluzione vissuta nell’ultimo decennio: quella delle nuove tecnologie. Se la digitalizzazione delle imprese è ormai una realtà consolidata nelle grandi aziende del Nord Italia, pmi e pubblica amministrazione stanno appena adesso cominciando ad approcciarsi a questa trasformazione culturale e organizzativa.
 
I primi nodi cominciano a venire al pettine: perché lo smart working funzioni serve una visione del lavoro matura al tempo della digitalizzazione. Vengono messe a dura prova le figure dei manager, i modelli di leadership, le varie forme di controllo e delega, efficienza ed efficacia delle riunioni “on-line”, la comunicazione, il lavoro in team da remoto, la gestione del tempo personale e convenzionale. Temi che da anni trattiamo nelle nostre giornate formative.
 


Mi vorrei limitare a cogliere da queste dura esperienza l’opportunità di collaudare un sistema che potrebbe facilitarci in diverse situazioni.  Il buon senso mi porta a dire che, affinché questo funzioni, non sia necessario distaccarsi completamente dal modello tradizionale. La mentalità non dovrebbe essere “aut…aut”, bensì “vel…vel”.
Forse la soluzione sta in una visione più flessibile del lavoro in cui le attività in ufficio e lo “smart working” coesistano pacificamente: la prestazione lavorativa potrebbe essere svolta in parte nei locali aziendali e in parte all’esterno, entro i limiti orari definiti dal contratto, e con l’impegno nel rispettare le scadenze e gli incontri prestabiliti in ufficio. È stato infatti dimostrato che riunioni più sporadiche, ma distribuite a intervalli regolari nel corso della realizzazione di un progetto, portano a scambi di idee più efficaci e a soluzioni più utili e puntuali. Sono certo che ne guadagnerebbero anche le relazioni interpersonali. 
 
Lavorare in team significa anche negoziare con colleghi e colaboratori; è una sfida di gruppo e anche una maratona individuale: se voglio essere riconosciuto e valorizzato è importante che io mi faccia conoscere fisicamente, che conosca la realtà della quale faccio parte e dimostri le mie competenze in ogni situazione.

Il coronavirus non lascerà molti ricordi positivi ma ci piace sperare che da questa grande situazione di disagio le persone ricevano un input al miglioramento: come dicevamo da problema a fonte di opportunità. 
Sul tema dello smart working i dubbi e le difficoltà sono ancora tanti e, ora che le domande sono state lanciate e il dibattito è ancora vivace, sarebbe bello cercare insieme le risposte e riflettere su una riforma del lavoro culturalmente moderna e socialmente innovativa.
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