Cari amici di Selezione Ora,
Oggi è l’ultimo giorno del 2020 e finalmente – dico con una certa
speranza e scaramanzia – ci stiamo avvicinando all’inizio di un nuovo anno.
Ci siamo appena lasciati alle spalle le festività natalizie. In
molti dei nostri ricordi questo periodo è legato momenti di comunione e
condivisione colorati di tinte calde e tenui, animati dalle voci dei nostri
cari e da un sentimento universale e puntuale di felice nostalgia. Quest’anno
non tutti abbiamo potuto rivivere la stessa atmosfera.
Quello del 2020 è stato un Natale diverso, il primo Natale
dall’inizio della pandemia, regolato dalle misure anti-contagio: abbiamo
festeggiato in maniera discreta e ridotta, solamente con gli affetti più
intimi. Credo che per molti non sia stato facile lasciarsi alle spalle le
preoccupazioni costanti degli ultimi mesi: questo Natale ci ha ricordato -
anche, ma non solo - il trauma comune che ci ha segnati e tutto ciò che il
Coronavirus ci ha tolto o ci ha insegnato. Dallo scorso inverno, tutti insieme,
abbiamo cambiato le nostre abitudini per proteggerci a vicenda e prenderci cura
dei più deboli. Ora siamo comprensibilmente stanchi, ma non dobbiamo
dimenticare la solidarietà che ci ha uniti in passato e a fare un ultimo sforzo
di prudenza e responsabilità.
Quest’anno abbiamo conosciuto il concetto di limite:
- limite spaziale, perché abbiamo ridotto la nostra dimensione personale a quella
delle mura domestiche;
- limite sociale, perché abbiamo rinunciato a molti dei nostri piaceri, dei nostri
svaghi e delle nostre relazioni;
- limite temporale, perché i nostri orari sono scanditi per tenerci il più possibile
distanti e sicuri.
Tuttavia, è stato un sacrificio comune: ci siamo “chiusi” per
“aprirci” alle necessità della collettività. Durante le avversità gli
uomini mostrano i loro lati peggiori, ma spesso anche i migliori: è così che il
virus ha messo a nudo le tendenze, le politiche e le abitudini malsane della nostra
società, ma ha anche esaltato gli esempi positivi di reazione, apertura e
progresso. Seppur costretti, abbiamo dovuto imparare a conoscerci e a valutarci
meglio nelle nostre dinamiche intra e inter-relazionali: la pandemia ci ha
mostrato quanto sia importante realizzare noi stessi, ma, soprattutto, quanto
abbiamo bisogno degli altri e di essere inseriti in una comunità che ci
riconosca e ci tuteli per poterlo fare.
A questo proposito, spero che anche durante questa notte di San
Silvestro rispetteremo tutti le norme per rallentare l’emergenza sanitaria: non
dobbiamo dimenticare che, dietro le cifre che ogni giorno sentiamo e leggiamo,
ci sono genitori, nonni, figli, persone amate e che il dolore dei loro cari
deve essere rispettato.
Penso che, mai come quest’anno, stiamo realizzando l’importanza
delle relazioni. I posti vuoti a tavola ci fanno soffrire, ma ci fanno
anche riflettere e ringraziare per gli affetti che potremo ancora abbracciare e
salutare, ci spingono a rivalutare il nostro ruolo in mezzo agli altri e a
riconsiderare l’attenzione che quotidianamente riserviamo al prossimo.
Parlare di felicità, in questo momento, è una vera sfida: le conseguenze
della pandemia ci coinvolgono tutti in misura diversa e, purtroppo, immaginare
una soluzione e una data di scadenza certa è impossibile. Tuttavia, rimane un
buon proposito per l’anno nuovo quello di non abbattersi e di continuare a
collaborare insieme per rinascere insieme. Intanto, troviamo appigli alla
speranza nelle piccole gioie quotidiane che la vita ci riserva.
Zygmunt Bauman sosteneva che la felicità sta nella consapevolezza
di essere in grado di riuscire a controllare le sfide poste dal fato. Per questo
spero che, quando potremo tornare a vivere, lo faremo più consapevoli di noi
stessi e più critici nei confronti della società, che faremo tesoro
dell’esperienza per costruire un progetto di cambiamento globale nella
direzione della sostenibilità e dell’equità.
Vi saluto con un passaggio
tratto da una lettera della Comunità di Bose:
Una notte che è simbolo di una condizione storica ed esistenziale
oscura, tenebrosa, faticosa, densa di tribolazioni. Nostro compito è quello di
non assecondarla chiudendo gli occhi, ma di aprirli vegliando e restando
lucidi. Che la notte che viviamo apra i nostri occhi, invece di chiuderli:
leviamo lo sguardo al Signore che viene, perché in lui la nostra liberazione è
vicina.